29 ottobre 2014

SALI MINERALI E LA LORO IMPORTANZA

http://www.nonsolofitness.it/alimentazione/nutrizione/sali-minerali-ruolo-funzioni-e-caratteristiche-organiche.html

I sali minerali, pur costituendo una piccola parte dell'organismo umano (circa il 6,2% del peso corporeo), rientrano nella costituzione dei tessuti e rappresentano fattori essenziali per le funzioni e per l'accrescimento. Essi si possono classificare in:
  • Macroelementi: Ca, P, Mg, S, Na, K, Cl il cui fabbisogno giornaliero è dell'ordine dei grammi o dei decimi di grammo
  • Oligoelementi, il cui fabbisogno giornaliero è dell'ordine dei milligrammi o microgrammi. Essi si possono suddividere in:
    • Essenziali (Fe, Cu, Zn, I, Se, Cr, Co, F), per i quali è dimostrabile che una loro carenza compromette funzioni fisiologiche importanti, oppure che fanno parte di strutture organiche preposte a ruoli vitali nell'organismo
    • Probabilmente essenziali (Si, Mn, Ni, V)
    • Potenzialmente tossici, con possibile funzione essenziale a bassissima concentrazione (As, Pb, Cd, Hg, Al, Li, Sn)
Occorre chiarire che la tossicità è una caratteristica di tutti gli elementi e dipende solo dalla quantità del minerale che perviene all'organismo1.
I minerali servono come costituenti di enzimi, ormoni, e vitamine, e si combinano con altri elementi chimici (ad esempio il fosfato di calcio nelle ossa, il ferro del gruppo EME dell'emoglobina) oppure si trovano non combinati (calcio libero nei fluidi corporei).
Mentre le vitamine attivano processi chimici senza diventare parte dei prodotti delle reazioni i minerali spesso vengono incorporati in alcune strutture e composti chimici esistenti nel corpo, nel quale svolgono tre funzioni principali:
  • Provvedono alla struttura e alla formazione di ossa e denti
  • Aiutano a mantenere il normale ritmo cardiaco, la contrazione muscolare, la conduzione nervosa e il bilancio acido-base
  • Regolano il metabolismo delle cellule, diventano parte di enzimi e ormoni che modulano l'attività cellulare

12 ottobre 2011

Acqua nell'attività sportiva

Importanza dell'acqua nell'attività sportiva

Nel corso di un' intensa attività fisica e di una pratica sportiva regolare, la quota di acqua che viene persa può raggiungere valori rilevanti e compromettere tanto il risultato sportivo quanto lo stato di salute dell'atleta.La pratica sportiva, infatti, si caratterizza prevalentemente per un più o meno rilevante incremento della produzione di energia da parte delle fibrocellule muscolari impegnate nel gesto tecnico della specifica disciplina sportiva.Conseguentemente, e di pari passo con l'aumentare dell'utilizzazione dell' ATP, si verifica un incremento della quantità di calore prodotto, che a sua volta è responsabile dell'innalzamento della temperatura corporea tipico della pratica sportiva, così come di qualunque altra attività fisica che richieda un certo impegno muscolare. L'aumento della temperatura corporea interna che si determina nel corso dell'attività sportiva costituisce un potenziale fattore di rischio per la salute degli atleti, oltre che un elemento sfavorevole per la prestazione atletica.Pertanto, l'organismo umano quando è sottoposto ad uno sforzo fisico, tanto più se svolto in condizioni di temperatura e umidità ambientale elevate, ma anche in caso di temperature fredde, deve necessariamente attivare quei meccanismi (termoregolazione) in grado di indurre una adeguata riduzione della temperatura corporea (termodispersione) e viceversa. Il meccanismo più efficace in tal senso è certamente l'evaporazione del sudore che, durante il lavoro muscolare, viene prodotto in maniera più efficiente proprio per salvaguardare l'integrità dell'organismo e per garantire la massima capacità di prestazione atletica. Infatti, ogni grammo o millilitro di acqua che evapora comporta la dispersione di 0.58 Kcal; tuttavia, a questo proposito, è bene ricordare che sudare non determina dispendio energetico (non fa dimagrire) e che solo l'acqua effettivamente evaporata produce una riduzione della temperatura corporea. Viceversa, quella che rimane negli indumenti rimossi, o sgocciola, oppure viene allontanata meccanicamente dalla superficie cutanea, ad esempio con gli asciugamani, non produce effetti favorevoli sulla termo dispersione, ma al contrario determina una ulteriore perdita di acqua in grado di aggravare lo stato di disidratazione dell'organismo.In atleti impegnati in allenamenti e/o gare di rilevante intensità e durata si possono verificare variazioni di peso fino a 5-6 Kg, rappresentati in grandissima parte dell'acqua persa con la sudorazione. Il sudore è un liquido biologico costituito prevalentemente di acqua, con minime quantità di sali minerali, come cloro, magnesio, potassio e anche di ferro e calcio.Una carenza di acqua è mal tollerata dell'organismo, la capacità di prestazione atletica si riduce al grado di disidratazione del nostro corpo: una perdita del 2% del volume dell' ATC (acqua totale corporea) altera la termoregolazione e influisce negativamente sull'efficienza e sulle capacità fisiche del soggetto, mentre una perdita del 5% comporta il rischio di crampi ed è in grado di determinare una riduzione del 30% della prestazione sportiva. Perdite idriche maggiori compromettono l'omeostasi dell'organismo e risultano particolarmente pericolose fino a diventare addirittura rischiose per la vita (ipertermia e colpo di calore). E' chiaro, pertanto, che la principale integrazione di cui hanno bisogno gli atleti è quella idrica, ciò vale tanto per gli sportivi di elitè che per quelli di minor livello tecnico.

22 giugno 2011

Sfatiamo dei falsi miti su come perdere grasso

Quanto più l'intensità dell'esercizio sale e tanto maggiore diviene il contributo percentuale del carburante zuccheri. Viceversa, per non attaccare le limitate riserve di questi nutrienti, negli sforzi più leggeri l'organismo brucia prevalentemente grassi. Alcuni dati significativi: SE L'ATTIVITA' FISICA E' DI BASSA INTENSITA' E DI BREVE DURATA (AD ES. CORRERE PIANO, "SENZA FIATONE" PER ALMENO 20-30 MINUTI), LIPIDI E CARBOIDRATI CONTRIBUISCONO IN EGUAL MISURA ALLA COPERTURA DELLA RICHIESTA ENERGETICA. VICEVERSA, SE L'ATTIVITA' FISICA E' DI BASSA INTENSITA' MA SI PROTRAE PER ALMENO UN'ORA, VI E' UN PROGRESSIVO DEPAUPERAMENTO DELLE RISERVE DI GLICOGENO, DI CONSEGUENZA UNA MAGGIORE UTILIZZAZIONE DEI LIPIDI, CHE ARRIVANO A COPRIRE L'80% DELLA RICHIESTA ENERGETICA. In particolare, si stima che 60 - 90 minuti di esercizio molto intenso siano sufficienti per ridurre in maniera notevole le scorte di carboidrati. Se al termine dell'esercizio queste sono vicine all'esaurimento saranno poi necessarie 24 - 48 ore per ricostituirle. Per quanto detto, un modo teoricamente efficace per dimagrire sarebbe quello di allenarsi quando le scorte glucidiche sono già state significativamente ridotte da un precedente allenamento, da una dieta ipocalorica o dal digiuno notturno. Una soluzione, questa, potenzialmente utile, ma con una serie di limiti che abbiamo analizzato nell'articolo dedicato. I punti appena illustrati stanno alla base della già citata teoria secondo cui l'ottimale frequenza cardiaca per dimagrire si collocherebbe intorno al 60-70% della FCmax (a tale intensità di esercizio la miscela di carburanti utilizzata è molto ricca di grassi). Purtroppo, si tratta di un ragionamento semplicistico e fondamentalmente sbagliato, per tutta una serie di ragioni: 1) se vogliamo essere in grado di bruciare grassi a scopo energetico dobbiamo prima di tutto preoccuparci di aumentare la quota di ossigeno che arriva ai muscoli. Come fare, quindi, per elevare la densità di mitocondri, enzimi e capillari a livello muscolare? Basta semplicemente impegnarsi in allenamenti di lunga durata (minimo 50') con una frequenza cardiaca pari al 60-70% della FCmax; in pratica, basta fare quanto la maggior parte degli istruttori consiglia per dimagrire. Tale regola vale soprattutto per i sedentari o per chi viene da un lungo periodo di sospensione degli allenamenti. Il programma andrà mantenuto per un periodo variabile dalle quattro alle dieci settimane, durante le quali, comunque, si potranno inserire degli allunghi e brevi tratti ad intensità leggermente superiore. Scopo di questa prima fase è riuscire a correre per almeno 40 minuti a bassa intensità senza pause e con relativa facilità. 2) E' ormai risaputo che il consumo calorico della camminata è pari a circa 0,5 KCal per kg di peso corporeo, poco più della metà di quanto si brucia correndo. Dunque, un soggetto di 100 Kg che corre per 10 km brucia circa 1000 KCal, indipendentemente dall'intensità d'esercizio. Infatti, il consumo calorico per km della corsa lenta è molto simile a quello per km della corsa svolta al massimo delle proprie possibilità; ciò che cambia, in questi casi, è soltanto la miscela di carburanti utilizzata: più ricca di grassi nel primo caso e più ricca di zuccheri ed amminoacidi nel secondo. Da qui nasce la già citata raccomandazione di mantenere una frequenza cardiaca pari al 60-70% della FCmax, in modo da massimizzare il potere dimagrante della corsa. Due sono le obiezioni importanti a riguardo; la prima è semplicissima, ma nessuno sembra pensarci: nell'esempio abbiamo parlato di chilometraggio, non di tempo. La domanda sorge quindi spontanea e provocatoria: "Se in palestra abbiamo solo un'ora per allenarci, faremo più chilometri correndo a bassa o ad alta intensità? La risposta, ovviamente, è scontata. Ma allora, se in questo arco di tempo il nostro individuo da 100 kg percorre tre km in più, per quanto detto brucia anche 300 KCal in più. Per lo stesso motivo, il consumo di grassi sarà inferiore in termini relativi (grammi per km), ma non più di tanto in termini assoluti (grammi totali). Inoltre, non dobbiamo dimenticare le 300 KCal bruciate in più, che per le leggi della termodinamica si rivelano di indubbia utilità per dimagrire. Esiste poi un terzo elemento, poco conosciuto, che spiega come mai la frequenza cardiaca per dimagrire debba comunque essere impegnativa. Stiamo parlando del debito di ossigeno. Al termine di un esercizio fisico le attività metaboliche non ritornano immediatamente al loro livello di riposo, ma necessitano di un tempo più o meno lungo a seconda dell'intensità e della durata dell'esercizio. Più lo sforzo è stato impegnativo e tanto più questo periodo è lungo. In pratica, quindi, stiamo sottolineando come lo sportivo continui a bruciare più calorie del normale anche per un certo periodo dal termine dell'esercizio, periodo che sarà tanto più lungo quanto più intenso e duraturo è stato lo sforzo che l'ha preceduto. Tale fenomeno si spiega con la necessità di ripristinare le scorte energetiche, smaltire l'acido lattico, trasformarlo in glicogeno (ciclo di Cori), riossigenare la mioglobina e riparare le strutture macro e microscopiche lesionate dall'esercizio. Inoltre, non va sottovalutato il contributo dell'ipertermia (il metabolismo basale aumenta del 13% per ogni grado di aumento della temperatura corporea) e dell'assetto ormonale, con attivazione degli ormoni dello stress, acuto (catecolamine) e cronico (glucocorticoidi). 4) Se vogliamo sfruttare al massimo quanto esposto nel punto precedente dobbiamo affidarci all'interval training, che consiste nell'alternare tratti percorsi ad elevata intensità ad altri di recupero. In questo modo si crea un debito di ossigeno molto grande, lo si recupera parzialmente e se ne crea una nuovo; l'intensità dell'allenamento arriva alla stelle e con essa il consumo calorico. Giustamente, con questa tecnica la percentuale di grassi utilizzata sarà abbastanza bassa, ma le calorie bruciate saliranno vertiginosamente sia durante che dopo l'esercizio. Per tutti questi motivi, riteniamo sia giunto il momento di abbandonare le vecchie teorie secondo cui la frequenza cardiaca ideale per dimagrire dovrebbe collocarsi tra il 60 ed il 70% della FCmax; chiedete quindi al vostro istruttore di prepararvi delle schede incentrate anche su lavori di intensità, senza dimenticare i giusti periodi di recupero.